La dimostrazione
Leggendo “il Teorema del pappagallo” di Denis Guedj, ho trovato molto interessante il passo nel quale il protagonista prova a spiegare il perché la matematica, in particolare la geometria, e quindi l’arte del dimostrare, sia nata in Grecia e non altrove.
L’ipotesi del signor Ruche è la seguente:
“ ....tutti i pensatori greci che hanno fatto della matematica che consociamo, chi sono in realtà? Che cosa fanno nella vita, qual è il loro posto nella società? Non sono né schiavi né funzionari di Stato, come i matematici-contabili babilonesi o egizi, che appartenevano alla casta degli scribi o dei sacerdoti e detenevano il monopolio della conoscenza e del calcolo. I pensatori greci non hanno conti da rendere a nessuna autorità....I pensatori greci sono uomini liberi. Ma devono difendere il proprio punto di vista di fronte ai loro pari.
La Grecia di quell’epoca non era un impero, bensì una costellazione di città, di città-Stato indipendenti; alcune erano rette da tiranni, altre invece erano democratiche. In queste ultime, i cittadini partecipavano in modo attivo alla vita politica. Ad Atene si tenevano assemblee alle quali partecipavano da sette a ottomila cittadini, e ognuno, a turno, poteva prendere la parola. Alla fine della seduta, tutti votavano, e tutti i voti avevano lo stesso valore....Non si può discutere sul serio se non si è d’accordo almeno su una base minima. Una volta accettato questo punto di partenza, si può cominciare la discussione. Tu mi dici qualcosa, io replico, tu mi proponi una tesi, io ribatto, tu affini i tuoi argomenti e io affilo i miei. Ma, alla fine, chi dei due ha ragione? Come fare per decidere? Chi avrà l’ultima parola? Trattandosi di scienze, in particolare di matematica, i pensatori greci hanno approfondito la differenza tra le due posizioni, da un lato in rapporto alle argomentazioni politiche e filosofiche, dall’altro in rapporto ai matematici egizi e babilonesi. I matematici greci hanno così espresso due esigenze diverse. I filosofi eccellevano nell’arte della persuasione, ma nella pratica, per così dire, avevano dei limiti, giacché la persuasione non elimina del tutto il dubbio. I matematici sono arrivati quindi a esigere qualcosa di più della semplice persuasione; pretendevano che le loro asserzioni fossero inconfutabili. Volevano convincere l’eventuale interlocutore al punto che nessuno potesse mettere in dubbio quello che loro sostenevano, poiché avevano la pretesa di offrire motivazioni tali da dissipare ogni dubbio. Esigevano prove assolute: ecco in che senso i matematici greci si sono differenziati dagli altri praticanti della prova che esistevano ai loro tempi. E hanno compiuto un passo avanti rispetto ai loro predecessori babilonesi ed egizi proprio in quanto si sono rifiutati di accettare che l’intuizione da sola potesse legittimare verità matematiche, rifiutando altresì le prove numeriche. Io mi convinco di qualcosa perché la vedo e convinco te perché te la mostro: questa è la prova empirica, utilizzata sulle rive dell’Eufrate e del Nilo. I matematici greci, invece, si sono rifiutati di accontentarsi di questo tipo di prove materiali, e hanno preteso qualcosa di più: la DIMOSTRAZIONE.”