Archimede e la matematica pre-ellenica
La tradizione attribuisce ai Greci antichi viaggi e soggiorni nei paesi della Mesopotamia e dell'Egitto durante i quali avrebbero conosciuto, studiato e ampliato le conoscenze e i risultati ottenuti dai matematici delle civiltà precedenti alla loro. È quindi lecito domandarsi perché la matematica greca non abbia elaborato con attenzione - e dunque non abbia trasmesso - i grandi risultati già ottenuti in algebra da Babilonesi ed Egizi.
Risposte precise a tale domanda non ci sono, ovviamente, ma si possono formulare le seguenti ipotesi:
a. è possibile che il "filone" di scoperte pre-esistenti potesse sembrare ormai esaurito e sorpassato ai matematici greci e che quindi questi non abbiano ritenuto interessante provare a perfezionare e ampliare quanto già ottenuto;
b. è possibile che i matematici greci non apprezzassero quei passaggi algebrici divenuti ormai solo meccanici;
c. è possibile che il fascino della matematica legato alla "sensazione di verità" che essa può fornire abbia sviluppato, in maniera quasi eccessiva, il desiderio e il piacere della "dimostrazione" esclusivamente geometrica e non ancora algebrica.
Illustri studiosi della storia della matematica, per esempio, vedono nel secondo libro degli Elementi di Euclide l'eredità dell'algebra pre-ellenica "rivestita" di geometria; accennano così alla cosiddetta "algebra geometrica" riferendosi alle spiegazioni algebriche ottenute attraverso procedure geometriche ormai convalidate, per rendere i concetti più validi e credibili. Nonostante tutto ciò, nel grande capolavoro di Euclide non si nota né simbolismo né spirito algebrici veri e propri.
Noi qui, senza entrare nella discussione, vi proponiamo il cosiddetto "Problema dei buoi" attribuito al grande Archimede, che mostra un primo approccio all'analisi indeterminata e il notevole livello raggiunto dalla matematica greca. Eccolo1:
II
Problema trovato da Archimede e che destinò, sotto forma di epigramma, in una lettera destinata ad Eratostene ed a coloro che in Alessandria si occupano di questi argomenti.
Amico, se tu hai la sapienza di calcolare, determina accuratamente il numero dei buoi del (dio) Sole che una volta pascolavano nelle pianure dell'isola di Sicilia Trinacria, divisi in quattro greggi di diverso colore; il primo (color) bianco latteo, il secondo nero lucente, il terzo bruno e il quarto chiazzato. Ciascuno di questi gruppi era formato da un numero considerevole di tori ripartiti secondo le seguenti proporzioni: immagina, amico mio, che i bianchi erano un numero uguale alla metà aumentata di un terzo dei tori neri e più inoltre i tori bruni; i tori neri erano in numero uguale alla quarta e quinta parte dei chiazzati e accresciuti dei tori bruni. Considera inoltre che i chiazzati erano in numero uguale alla sesta più la settima parte dei tori bianchi e più inoltre i tori bruni.
Le giovenche poi erano ripartite nel modo seguente: le bianche erano in numero uguale alla terza più la quarta parte di tutto il gregge nero; le nere erano in numero uguale alla quarta parte delle giovenche chiazzate prese insieme ai tori (chiazzati) e le chiazzate erano, poi, in numero uguale alla quinta più la sesta parte di tutto il gregge bruno e, infine, le (giovenche) brune erano in numero uguale alla metà della terza parte più la settima parte del gregge bianco.
Amico, se tu mi dici esattamente quanti buoi aveva il Sole, qual era in particolare il numero dei tori e quello delle giovenche per ciascun colore, non ti si potrà qualificare né ignorante né inabile in materia di numeri; ma tu non potrai ancora essere considerato tra i sapienti.
Ma ora, osserva ancora le diverse proporzioni in cui erano disposti i buoi del Sole: allorché i tori bianchi si univano ai neri, essi formavano un gruppo completo avente la stessa misura sia in lunghezza che in larghezza e questo quadrato riempiva interamente le immense pianure della Trinacria. Inoltre tutti i (tori) bruni uniti a tutti i chiazzati, senza (tori) di altro colore, riuniti in modo che essendo la prima fila costituita da un solo, (la seconda da due, la terza da tre,...) essi formavano gradualmente una figura triangolare. Amico, se tu troverai del pari tutte queste cose e se insomma troverai tutti i numeri (richiesti) di tali gruppi, potrai gloriarti di aver vinto e persuaso che ti si giudicherà completamente addentro in questa scienza."
Indicando con x, y, z, t rispettivamente il numero di tori: bianchi, neri, bruni, chiazzati e con x', y', z', t' quello delle corrispondenti giovenche, le condizioni assegnate si traducono nelle seguenti equazioni:
Come scriverà in seguito Thomas Heath2: "Questo è un difficile problema di analisi indeterminata", dato che per la sua risoluzione si giunge alla cosiddetta "equazione di Pell - Eulero" di non facile soluzione: , dove con N è indicato un numero intero non quadrato perfetto (nel problema di Archimede N = 4.729.494).
A parte la sua risoluzione complessa, è interessante notare che, viste le prime sette equazioni, non si può pensare ad un problema costruito a partire dalle soluzioni; si tratta dunque di un problema che richiede, per la sua soluzione, un livello di conoscenze algebriche, sia nei contenuti che nel simbolismo, notevole e ricercato.
Ciò è riscontrabile nelle considerazioni critiche sollevate dallo storico Gino Loria3, al termine dell'analisi del problema: "Da quanto precede risulta che il problema di Archimede merita di essere ascritto fra i più belli che annoveri la letteratura aritmetica, così bello che non ci sovviene alcuno che lo superi per eleganza di forma e valore di sostanza. Esso è difficile assai, ma chi può arrogarsi il diritto di negare ad un genio originale e potente, qual era il Siracusano, la capacità di concepirlo e risolverlo?".
1 P. Ver Eecke, Les oeuvres complètes d'Archimèdes, Paris, 1960
2 Thomas Heath, A History of Greek Mathematics, Oxford, 1921
3 Gino Loria è una figura importante fra gli storici italiani della matematica. Nato a Mantova il 19 - 5 – 1862, si laureò nel 1883 all'Università di Torino, ove rimase tre anni come assistente di Enrico D'Ovidio. Nel 1886, a soli 24 anni, fu nominato, in seguito a concorso, professore di Algebra e Geometria analitica all'Università di Genova. Nel 1935 dovette abbandonare l'insegnamento a seguito della promulgazione delle leggi razziali e si rifugiò in val Pellice, una delle tre valli valdesi. Morì a Genova il 30 - 1 - 1954.